L’unico vero errore è quello da cui non impariamo nulla.
H. Ford
La lettera di un bambino, un cellulare e un joystick fanno da preludio al presente articolo e nello stesso tempo ne diventano il fulcro.
La riflessione ruota attorno al concetto di errore nell’ottica sia delle funzioni educativa e formativa sia di uno stato emotivo equivalente ad un senso di liberazione della coscienza.
L’interrogazione di questa duplice veste dello sbaglio e la sua possibile applicazione in contesti che vanno oltre il microcosmo famigliare e interessano contesti più ampi, come quello lavorativo, parte proprio dalla guida del bambino, i genitori.
Il punto di vista del pensiero del bambino attraverso una lettera di scuse per una “bugia’’, unitamente alla restituzione dei suoi oggetti preferiti, ha generato nelle figure di riferimento due pensieri antinomici: da un lato, con la restituzione emerge un senso di responsabilità che non necessariamente assume le vesti di castigo o quelle di “imparare la lezione’’ e che diventa occasione di apprendimento educativo; dall’altro, venendo meno l’ingenuità tipica del bambino per fare spazio ad un aspetto più “scaltro’’, il pensiero del bambino espresso attraverso una penna e una carta bianca in una forma quasi ‘’romantica’’ che porta i genitori ad emozionarsi, potrebbe significare una declinazione da ogni forma di responsabilità e una liberazione della coscienza per “averlo detto’’ e dal senso di colpa.
Analogamente ad un bambino, alle prese con un percorso di autoformazione, in un ambiente lavorativo la presa di coscienza di un errore da parte dei membri di un team work, la riflessione e la conseguente iniziativa di un’autonoma decisione per la risoluzione, che coincide nel bambino con la restituzione degli oggetti, rafforza la capacità di problem solving permettendo di raggiungere così gli obiettivi prefissati.
In una forma contraria, la consapevolezza in superficie di uno sbaglio, che non investe né la sfera emotiva né una self-reflection genera indebolimento e distacco empatico.
Concludendo, non conta il tipo di errore né una sua quantificazione o qualificazione di esso in termini di grave o meno grave. Se almeno una volta è capitato ai membri di un team work di sbagliare, diviene invece fondamentale rendersi conto dello sbaglio e raggiungere un senso di maturazione che si traduce nel trovare la strategia migliore per “riparare al danno’’.
Oggi, in un’ azienda 4.0 e in un contesto caratterizzato dalla velocità, i modelli di autoriflessione sono sempre più necessari perché rappresentano il motore per il successo e per la crescita di un team di lavoro.
Autore: Ing. Francesco Scandale Presidente Aris