L’Italia è da sempre caratterizzata da una bassa penetrazione digitale in tutti i principali settori dell’economia: secondo l’indice DESI 2020 ci collochiamo in 25esima posizione su 28 stati Ue. Rispetto ai principali mercati europei, rappresentati dalle c.d. città “FLAP” (Francoforte, Londra, Amsterdam e Parigi) abbiamo importanti ritardi da recuperare. Ma il gap competitivo diventa ancora più ampio quando guardiamo ai paesi del Nord Europa.
La digitalizzazione è un fattore pervasivo e trasversale, accelerato improvvisamente dallo scoppio della pandemia da Covid-19: è indubbio che molti di questi cambiamenti sono destinati a diventare strutturali. Il 2020 ha portato ad un incremento verticale della domanda di servizi digitali (es. smart working, educazione, e-commerce, streaming), evidenziando i limiti dell’attuale infrastruttura tecnologica del paese e, al contempo, ha dato definitivo impulso all’avvio della transizione digitale in tutti i settori dell’economia (es.
IoT, AI, Industry 4.0, 5G). Questi fenomeni hanno portato ad un aumento esponenziale dei dati che privati, imprese e PA producono quotidianamente e che richiedono un’enorme ampiezza di banda e una riduzione della latenza, per essere processati dai data center.
Questo ragionamento ci conduce a due elementi centrali: infrastrutture critiche e Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr).
Le prime sono tutte quelle infrastrutture strategiche per un Paese, ed includono iservizi essenziali per il benessere della popolazione, la sicurezza nazionale, il buon funzionamento e la crescita economica.Passando al secondo elemento, da un anno sentiamo parlare del programma di incentivi alla ripresae conomica che le istituzioni europee stanno implementando per favorire gli investimenti, che in Italia prende il nome di Pnrr. Il piano prevede un budget di circa 222 miliardi di euro, il 27% dei quali (pari a c.a.60 miliardi) destinati alla transizione digitale. L’impatto senza precedenti che il programma è atteso avere in termini di risorse impiegate lo qualifica come uno dei più importanti stimoli all’economia mai varati, che favorirà gli investimenti in infrastrutture digitali per provare a colmare il gap di cui parlavamo prima.Per capire meglio il tema e l’entità dei problemi da risolvere, nel documento (pag. 88) si legge che “il 95 percento dei circa 11mila data center […] utilizzati dagli enti pubblici italiani presenta oggi carenze nei requisiti minimi di sicurezza, resilienza, affidabilità, capacità elaborativa ed efficienza”.
Per far fronte a questa situazione, il Pnrr prevede un significativo contributo ai settori riconducibili al segmento delle infrastrutture critiche, pari a c.a. 48 miliardi di euro.Tali risorse saranno fondamentali per favorire il processo di innovazione e digitalizzazione del paese con una ricaduta molto importante sulle imprese italiane che scontano un notevole ritardo: il 15% risulta addirittura a rischio estromissione dal mercato a seguito della difficoltà a “resistere” alla selezione operata dall’avanzamento delle nuove tecnologie poiché poco innovative, non digitali e non esportatrici4. Inoltre, la pandemia, accelerando i processi in atto, ha fatto emergere tutte le fragilità dell’ecosistema imprenditoriale
Gli stanziamenti previsti si inseriscono in un contesto caratterizzato dalla relativa polverizzazione degli operatori italiani nel segmento delle infrastrutture critiche, i quali non hanno le dimensioni adatte a gestire la magnitudo e la complessità dei progetti programmati, l’ammontare delle risorse a disposizione, nonché i tempi compressi di implementazione dei progetti (entro 5 anni).
L’effetto domino derivante (e scatenante) da questo vero e proprio “Crash Program” potrebbe portare in poco tempo ad un rischio saturazione del mercato nazionale a favore di grandi player internazionali, provenienti soprattutto dal Nord-Europa che, a differenza delle imprese Italiane, hanno la necessaria ed adeguata “size and scale” per la gestione delle risorse e dei progetti. Appare infatti prevedibile un rischio saturazione entro il primo anno per le imprese italiane già strutturate, mentre le seconde linee, dimensionalmente troppo piccole, rischiano di non essere coinvolte o di esserlo solo marginalmente, lavorando in sub-appalto per le imprese estere.
Il rischio maggiore è quello di un ulteriore aggravio dello stato di salute delle Pmi italiane, che verrebbero lasciate ai margini – o sarebbero a rischio espulsione, nel caso peggiore – senza nessuna possibilità di progredire sfruttando al meglio tale opportunità di crescita. Com’è evidente, quindi, ciò pone dei rischi potenziali per settori di rilevanza strategica.
Cosa possono fare le imprese italiane del settore per provare a cogliere l’opportunità unica, rappresentata dal PNRR? Vi sono tre possibili strade, le quali possono anche essere combinate tra loro.
La prima vede la costituzione di partnership di business verticali tra operatori con competenze complementari; la seconda partnership di medio-lungo periodo con investitori finanziari per accelerare lo sviluppo, rafforzare la governance e l’internazionalizzazione; l’ultima, la formazione di consorzi per incrementare la “massa critica” e competere su progetti dai quali, altrimenti, si verrebbe esclusi.
È essenziale che tutti gli attori del settore prendano piena consapevolezza del fatto che è giunto il momento di prendere ora una decisione di cui beneficerà l’intero sistema-Paese.
Presidente e AD di Hitrac Engineering Group